Fabula XXVII (seconda parte)

(continua da qui)

I lemuri sono materiali, ma non hanno più il loro corpo. Non sono un esperto di necromanzia e non so di preciso di cosa siano fatti, ma la loro consistenza è diversa da quella di un essere vivente. Sono più flessibili, malleabili. Ricevere un pugno da loro è come essere colpiti da una palla di gomma.
Una palla di gomma dura, che viaggia molto veloce.
Il lemure continua a picchiarmi, senza curarsi troppo del bersaglio: faccia, busto, stomaco, tutto quello che riesce a raggiungere. Mi sono rannicchiato per proteggere volto e ventre con le braccia, ma non riesco a bloccare tutti i colpi. Non so come reagire, quindi mi concentro solo su come rendere il prossimo pugno meno doloroso possibile. E spesso fallisco anche in quello.
Mi sembra che infierisca su di me per interi minuti, ma in realtà devono essere passati pochi secondi, perché per tutto il tempo sento Mila gridare una frase che non riesco a capire. Solo quando termina la tempesta di pugni oso abbassare le mani che ho davanti agli occhi, abbastanza da vedere lo spettro che libera la spada dal soffitto in cui si era incastrata.
Esita, guardando prima me e poi Mila. In quel momento mi accorgo che l’armadietto è proprio dietro di lui. E una grossa scatola lo colpisce dritto in volto, in un’esplosione di portacandele colorati.
Mila gliene lancia anche una seconda, prima di aggredirlo con un calcio al petto e una serie di colpi in rapida successione al collo e alle braccia. Faccio in tempo a notare quanto è veloce, con che fluidità e sicurezza si muove. E come il lemure barcolli appena sotto i suoi attacchi.
Lo spettro la attende, superata la sorpresa. Abbassa la testa quel tanto che basta perché la maschera d’osso intercetti un pugno destinato alla gola. Lei geme, e lui le afferra il braccio con la mano sinistra e la tira a sé, verso la spada.
Che regge solo con la destra.
È il momento che aspettavo. Mi getto contro di lui. Il movimento è accompagnato da fitte dolorose, e quello che speravo sarebbe stato un feroce grido di rabbia si trasforma in un lamento. Ma in quello spazio ristretto gli sono comunque subito addosso.
Mi aggrappo al suo braccio destro e lo stringo a me, faccio leva con tutto il corpo per immobilizzarlo e lotto per bloccargli la mano. Non voglio strappargli la spada, solo inclinare un po’ la punta…
Il lemure fa resistenza, cerca di lottare, ma non può trattenere sia me che Mila. E quando la lascia andare lei non perde tempo ad abbassarsi e colpirlo dietro le ginocchia, facendogli perdere l’equilibrio. Cade all’indietro, contro gli scatoloni alle sue spalle, e per un attimo perde forza nel braccio. Ne approfitto per serrare le mie mani intorno alla sua, piegargli il polso e spingere.
Conficco la punta della spada proprio nel centro del sigillo magico dell’armadietto.
I simboli impressi nel legno sembrano farsi subito più scuri e definiti, ma forse è una mia impressione. Però l’ombra che si muove rapida lungo la lama, come un’impossibile increspatura del metallo, non può essere solo un gioco di luci.
Il lemure cerca di lasciare andare la spada, di aprire la mano, ma riesco a trattenerla finché l’increspatura non arriva a sfiorare l’elsa. Nel momento in cui la raggiunge lo spettro sobbalza.
Mi allontano in fretta, mentre lui inizia a scalciare e contorcersi, a colpire furioso il braccio destro con quello sinistro. Credo che non riesca più a muoverlo e voglia staccarlo dall’arma in qualche modo.
Non ci riesce. Sono sicuro che urlerebbe, se potesse.
Resto a fissare quell’irreale scena di sofferenza muta per lunghi secondi. Mentre riprendo fiato, seduto sul pavimento, faccio il lungo elenco delle parti del corpo che mi fanno male. Mi rendo conto di non riuscire ad aprire del tutto la palpebra destra, e anche che se il lemure, nonostante tutto, dovesse rialzarsi, ho finito le idee su come affrontarlo.
È Mila a interrompere le mie riflessioni, scavalcando il fantasma senza neanche guardarlo e piazzandosi tra me e l’armadietto.
«Ecco, ora il sigillo è rovinato» borbotta. Mormora qualcosa e sfiora lo sportello con un dito. Le convulsioni del lemure cessano immediatamente, il braccio gli cade lungo il fianco, e la spada precipita a terra. «Non ti muovere tu» mi ordina, mentre apre l’armadietto. Non ho neanche la forza di ribattere, ma mi sporgo in avanti per vedere cosa ne sta tirando fuori.
Quando si volta si è infilata a tracolla una cinta di pelle da cui pende il fodero in legno, cuoio e metallo di una spada. Cos’è, sono l’unico a non averne portata una?
military-rapierMila sfodera l’arma. È diversa da quella del lemure, più corta, fatta per essere impugnata a una mano, con una lama sottile e triangolare, e un’elsa a croce sormontata da anelli di metallo per proteggere l’impugnatura.
Ed è viva. La sua presenza riempie la stanza, mi sembra quasi di sentirla parlare. Il sigillo non doveva servire solo a proteggerla, ma anche a contenerla. Si può impugnare un oggetto del genere senza perdere se stessi?
Il lemure è a terra, inerme. Ogni tanto si muove ancora, come scosso da un brivido. Mila gli si avvicina e poggia la punta della spada contro la sua maschera. «No, aspetta!» le dico. Non mi ascolta. Spinge appena, ma la maschera va comunque in frantumi. Decine di pezzetti d’osso rotolano sul pavimento, mentre il corpo dello spettro si dissolve in un istante, lasciando sulle assi di legno una macchia scura dall’aria umida e appiccicosa.
Non riesco più a trattenermi. «Ma chi diavolo sei, tu?»
«Questo dovrei chiedertelo io.» Mila si volta verso di me. Mi sento gelare sotto il suo sguardo. L’aria comprensiva e simpatica che conoscevo è scomparsa. Le labbra sono una smorfia dura e sottile. E i suoi occhi erano anche prima di quel grigio metallico? «Il magazzino devastato, un fantasma assassino, un tizio svenuto sul prato qua fuori e tu. Meglio se inizi a darmi qualche spiegazione.»
«Mi dispiace, signora, ma siamo noi quelli autorizzati a fare le domande.» Folco deve abbassarsi per attraversare la porta della casetta, un sorriso vacuo sul volto e le mani in tasca. Sono felice che stia bene, ma a vederlo entrare in quel modo mi viene voglia di tirargli qualcosa addosso. Si ferma sulla soglia a guardare la donna. «Ma… io la conosco?»
Mila è un fulmine. Sollevare la spada, mettersi in posizione e affondare la lama verso Folco è un unico movimento, che quasi sfugge agli occhi. «Attento!» grido quando ormai è troppo tardi…
Rumore di metallo contro metallo. La punta della spada è ferma davanti al naso di Folco, bloccata dall’incrociarsi di due coltelli dalle lame ricurve. Il lemure con la maschera nera, quello che mi aveva quasi sgozzato, è comparso davanti a Mila.
«Forte, eh?» mi dice lo sciamano, guardandomi da sopra le teste degli altri due. «Dopo che me ne sono occupato nel Mondo di Mezzo siamo riusciti anche a parlare un po’. Non è cattivo!» Fa una pausa e piega la testa di lato, socchiudendo gli occhi. «L’altro lo sento appena. Sei stato tu a sconfiggerlo? Mi devi raccontare come hai fatto!»
Mila fa un passo indietro, mantenendo la posizione di guardia. «Credi di potermi fermare con quel fantasmino?»
«Non lo so.» Folco si stringe delle spalle. «Dell’altro non è rimasto molto, ma se fosse necessario sono sicuro di poterlo usare in qualche modo. Ha un certo rancore verso di te.»
«Ho distrutto la sua maschera, non può tornare.»
«Non come lemure. Ma ci sono un sacco di forme in cui può manifestarsi uno spirito arrabbiato. Vogliamo vedere cosa esce fuori?» Mentre lo dice Folco si china a raccogliere un frammento della maschera d’osso, e se lo rigira interessato tra le mani.
Mila abbassa la spada. «Sei stato tu a creare questi mostri?»
«No, è solo schifosamente bravo in tutto quello che fa» spiego, alzandomi in piedi a fatica. «I lemuri sono venuti per quelli.» Indico i documenti sparsi a terra. «Noi stiamo solo indagando sulla morte di un monacello.»
«Oh, lo sapevo che mi avresti messo nei guai!» Mi ci vuole un po’ per capire che le parole di Mila sono rivolte alla spada. «Io non c’entro con quella storia!» aggiunge, guardando me e Folco.
«Sarà meglio parlarne dopo, da un’altra parte. Chi ha mandato i lemuri di sicuro può sentire che sono stati distrutti o ne ha perso il controllo» spiego. «Potrebbe decidere di…»
Mi fermo. Il sapore di sangue nella mia bocca è improvviso, e così forte da nausearmi. Mi appoggio contro la parete e mi accorgo che le mie mani stanno tremando.
La lama della spada di Mila inizia a ondeggiare, rischia di sfuggirle dalla mano. Folco solleva la testa, in ascolto.
«Altri lemuri?» riesco a chiedere.
«Tanti» risponde Folco. «Si avvicinano in fretta.»
Mi sembra di sentire delle grida, in lontananza. Sono i manifestanti all’ingresso del santuario?
«Non possono entrare in massa qui, ma possono tagliarmi le via di fuga» sbotta Mila, chinandosi a raccogliere i fogli sparsi sul pavimento. «Merda. Questo posto doveva essere sicuro!»
Lo sciamano mi fissa con aria smarrita. «Che facciamo?»
Guardo Mila inginocchiata, che afferra manciate di carte e cerca di impilarle alla meno peggio. Non è più feroce e spaventosa come prima. Sembra disperata.
Le urla si fanno più forti. Qualunque cosa stia succedendo, io e Folco ne siamo i responsabili.
«Che facciamo?» Mi abbasso e sfilo da sotto il bordo di una scatola un paio di fogli stampati. «Diamo una mano a raccogliere questa roba. E poi scappiamo.»

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