Fabula VII (prima parte)

«Sei davvero sicura che lo possa fare, sì?»
Silva sbuffa. «Te l’ho già detto, sì. Sei un operatore spiritico, anche se disoccupato, no?»
«Sì, ma…» Ma la mia unica esperienza come operatore è stata fare assistenza e vendere assicurazioni in un call center vorrei aggiungere, ma mi fermo. Non voglio che quelli della EXO mi sentano, e bruciarmi la mia chance.
La stradina è chiusa al passaggio, ma non da agenti regolari. Non per una cosa del genere. A ogni estremità del vicolo c’è un alichino che monta la guardia. Sono ovunque, nel Rione Spelonca, utilizzati per mantenere l’ordine e proteggere gioiellerie, monti dei pegni e compro-oro in nome del Santuario. Troppo alti e troppo magri, una maschera di cuoio nera con nasone e piccole corna a nascondere il volto, un’assurda tuta a losanghe nere e gialle e lunghi, minacciosi bastoni di legno decorato tra le mani. Quando ho chiesto a Silva se fossero umani, mi ha risposto «Forse alcuni».
Dalle finestre dei palazzi intorno qualcuno scosta le tende per sbirciare, anche se c’è poco da vedere, nella luce incerta della solita alba grigia che si può solo intuire oltre le nubi. Ero a letto fino a tre quarti d’ora fa, quando Silva è venuta a bussare alla mia porta. «Mi serve un operatore. Subito.»
«Ma non…» Mi sono fermato appena prima di dire la cosa più sbagliata possibile. Il suo operatore era Salvo, ovviamente. Non lo hanno ancora sostituito. «Arrivo subito, il tempo di cambiarmi e prendere la borsa.»
Un lavoro da freelance con la EXO. Silva mi ha regalato un’opportunità pazzesca. Cosa importa se non so ancora se, come e quanto sarò pagato, o se sono qui a quest’ora del mattino, davanti a una scena a cui non avrei mai voluto assistere, mentre cerco di tenere a bada la nausea?
Certo che importa. È uno schifo. Ma non è che abbia chissà quali alternative…
«Allora, procediamo?» Due tecnici della EXO in tuta scura mi guardano con sospetto. Reggono una grossa scatola di legno nerissimo, sotto la supervisione severa di un frate dei Caduti. Annuisco.
Il corpo è adagiato sul marciapiede, in una pozza del suo stesso sangue. È la prima volta che vedo da vicino la vittima di un atto di violenza. Mi tremano le mani. E quest’odore…
Mi avvicino. È piccolo come un bambino di pochi anni, ma le proporzioni sono tutte sbagliate. Soprattutto la testa, enorme e calva, con occhi troppo grandi e larghe, liquide pupille nere, il naso appena accennato, la bocca spalancata come a cercare aria che mette in mostra dei dentini conici, da pesce. Il corpicino è coperto da un saio che in origine doveva essere stato marrone, ora diventato praticamente nero per quel sangue, tutto quel sangue…
Un monacello. Qualcuno gli ha aperto la pancia. E già che c’era gli ha portato via il cappuccio, anche se non capisco il perché, visto che non può certo più reclamarne l’oro. Sul muro dietro di lui, utilizzando il sangue, è stato imbrattato un manifesto su cui campeggia la foto del Tribuno che invita a votare per le elezioni municipali. Il corno e il numero 47 sono sovrastati dalla scritta Traditore. Questa è nuova.
«Allora, è proprio morto?» sbotta impaziente Silva. Si guarda intorno, sembra preoccupata per qualcosa.
Bella domanda. Sembra morto, ma è difficile esserne certi, con un folletto. Fossi un naturale lo capirei solo guardandolo, ma il mio talento è troppo debole per una cosa del genere. Mi serve un catalizzatore.
pendoloPoggio a terra la mia borsa, una sacca di tela verde militare che usavo ai tempi dell’università per i libri. Quelli della EXO si mormorano qualcosa, divertiti. Non devo sembrare molto professionale. Di sicuro non mi sento un professionista.
Frugo tra il mio equipaggiamento, cercando di capire cosa usare: scarto le pietre, i tarocchi, lo specchio, la cera… Estraggo il sacchetto del pendolo, lo strumento più pratico in una situazione del genere. Mentre sfilo la catenina da cui pende il cono di ottone, penso a Salvo. Un Operatore con la vista. Una cosa come questa per lui sarebbe stata uno scherzo.
Cerco di stare attento, mentre mi faccio più vicino al corpo, ma i miei piedi finiscono comunque sul sangue. Dovrebbe essere già secco, ma mi sembra comunque viscido sotto la suola. Me ne porterò dietro un po’? Quest’odore mi resterà attaccato addosso? È vero, come si dice, che il sangue dei folletti causa la follia?
Infilo il medio nell’anello all’estremità della catenina, e la tendo reggendo il pendolo, per poi lasciarlo andare. Il cono inizia a ondeggiare in modo disordinato in ogni direzione, in balia dei campi di energia mistica che pervadono la città.
I tecnici non si sforzano neanche più di nascondere le risate. Senza guardarli, sollevo la mano libera per chiedere il silenzio. Incredibilmente, si zittiscono.
Una volta c’era un’arte divinatoria basata sull’interpretazione dei movimenti dei pendoli. Non so se funzionasse, ma di sicuro la Frattura ha eliminato la possibilità di utilizzarla. Ma ne ha aperte altre, anche se meno sottili.
Regolo la respirazione e chiudo gli occhi.
Pochi secondi, e il mondo intorno a me cambia. Il pendolo diventa parte di me, un’estensione dei miei organi di senso, un’antenna che avverte cose difficili da inquadrare nella mia percezione limitata. Sento risate miste a urla, rumore di ossa spezzate, buio salti eccitazione paura dolore e buio ancora… Gli alichini. La loro presenza schiacciante mi ha assalito all’improvviso, mi soffoca. No, non sono umani. Non hanno nulla che possa essere definito umano.
Resisto all’istinto di respingerli, di tirarmi indietro. Assorbo la percezione della loro essenza e la lascio scivolare via, sullo sfondo. Sotto la mia mano sinistra indugia la sensazione di accarezzare un volto ghignante intagliato nel legno di un pesante bastone, accompagnata dalla voglia di colpire qualcosa. Ma, poco alla volta, riesco a sentire anche altro.
Calore, odore di fumo, un groppo doloroso e soffocante alla bocca dello stomaco, e poi di nuovo calore… Silva. La riconosco e passo oltre, prima di rimanere ustionato. Il frate, un sentore di incenso misto a muffa di catacombe troppo rumorose, cose affilate che stridono sulla pietra, il retrogusto di una bevanda forte e amara.
Cos’è questo? Qualcosa di gelido, pericoloso, che puzza di sangue e di chiuso… Cosa sei? Tento di seguirne la traccia che si allontana, ma si confonde, si perde tra le emanazioni della città che si sveglia: il calore di una candela che consuma un desiderio, il contatto urticante della barriera protettiva di un negozio, il sapore del vino lappato da un piatto…
Mi scappa un versaccio quando mi costringo a tornare indietro, prima di arrivare così lontano da non ritrovare più la strada. Mi strappo il pendolo dal dito e mi ritrovo a barcollare, ed è normale che il mondo giri così in fretta? Quegli stronzi dell’EXO staranno ridendo di nuovo? Sono sicuro di sì.
Le mani di Silva si stringono sulle mie spalle, mi sostengono. Mi aggrappo a lei, mentre cerco di recuperare l’equilibrio.
«Allora?» mi chiede, frettolosa.
Allora? Oh, giusto… «È morto. Non c’è più nulla di lui qui.»
Silva fa un cenno al frate, che si avvicina al cadavere iniziando a borbottare le formule incomprensibili della preghiera dei Caduti. I tecnici mettono a terra la scatola e la aprono, indossano spessi guanti prima di toccare il cadavere.
Silva mi fa allontanare da loro, spingendomi per le spalle. «Ora stai attento» mi sussurra. «Pensa bene a cosa hai sentito: c’è qualcosa che può essere utile a capire cosa è successo qui?»
Mentre cammino raccolgo la borsa da terra. Cerco di divincolarmi, di distanziarmi più in fretta dal fetore e dalla morte. Lei mi trattiene.
«No, no! Lo so che sul campo è dura, ma devi stare con me. Concentrati!» Mi afferra il volto tra le mani. Sono così calde… «Guardami. Devi parlarne, in fretta, o rischi di dimenticare tutto. Devi…»
«Deve andare via. Dovreste andare via tutti e due.»

(continua qui)

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